di Salvo Barbagallo
Inevitabile: dalle ricorrenze non si può scappare, non ci sono vie di fuga. E pur tuttavia chi preferisce “ignorare” l’ha sempre vinta e chi “ricorda” resta una sparuta minoranza alla quale difficilmente si dà voce. È così per tutte le ricorrenze: alcune si trasformano in ipocrite “celebrazioni” strumentalizzate dalla politica di turno, altre (poche, in verità) in momenti che riportano a galla memorie sepolte, “scomode” (molto scomode) anche quando sono trascorsi decenni e decenni. In quest’ultima “categoria” rientra l’anniversario dell’uccisione del professore Antonio Canepa e dei giovani Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, il 17 giugno del 1945 in “quel” di Randazzo. Abbiamo cercato di approfondire nel corso degli anni la tragica vicenda, scrivendo libri (Una Rivoluzione Mancata, L’Avvenire che non venne, Anatomia di una strage, Antonio Canepa Ultimo Atto, l’Uccisione di Antonio Canepa) e tanti, tanti articoli. Le denunce del misfatto, avanzate nel tempo, sono servite a ben poco, così come (dovremmo dire “purtroppo”?) le rituali visite/tributo di “nostalgici” nel luogo del “presunto” eccidio. C’è ancora chi spera in un “avvenire” che può “venire”, un “avvenire” per ridare dignità alla Sicilia che, magari, può essere conquistato. Di certo realtà impossibile, se ci si affida alla politica e ai politicanti che questa Terra oggi esprime: a (quasi) tutti i protagonisti della scena Siciliana non interessa il “caso Canepa”, una storia che (ritengono) non fa storia. Eppure, se “qualcosa” si vuol cambiare, è necessario (ri)partire da Antonio Canepa perché (secondo noi) è da quella macabra e vile “esecuzione” che il destino della Sicilia mutò radicalmente. Forse si dovrebbero analizzare con un’altra ottica i “fatti” di quegli anni turbolenti; forse si dovrebbe considerare Antonio Canepa non come un “mito”, ma come un protagonista che ha rappresentato qualcosa di sconosciuto, con una “valenza” probabilmente “superiore” a quella fino ad oggi attribuitagli. Insomma, forse ora si dovrebbe approfondire ciò che Canepa ha veramente rappresentato, partendo da presupposti “diversi”. Un lavoro che potrebbe condurre a ipotesi sconvolgenti sulle reali ragioni che portarono alla sua eliminazione.
Nel contempo, non avendo attualmente altri elementi da aggiungere, riproponiamo quanto scritto un anno addietro, nel “solito” e “scomodo” anniversario…
Anniversario scomodo: 17 giugno 1945, l’uccisione di Antonio Canepa
Antonio Canepa aveva 37 anni, quando venne ucciso insieme ad altri due suoi compagni (molto più giovani, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice) in circostanze oscure, e venne seppellito accanto ai suoi compagni in segreto lontano dal luogo dove aveva perso la vita, nella nuda terra di un cimitero. Sulle tombe improvvisate non vennero poste né croci, né nomi. E lì rimasero fino a quando anni dopo i resti dei loro corpi non vennero riesumati e trasportati in un altro cimitero, dove tutt’ora si trovano all’interno di una tomba monumentale in un Viale dedicato agli Uomini Illustri.
Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice ufficialmente morirono all’alba del 17 giugno del 1945 nel corso di un conflitto a fuoco con i carabinieri alle porte di Randazzo. Canepa era il capo dell’Evis, Rosano e Lo Giudice due militanti dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana: dopo 73 anni la “verità” sulla loro fine non è stata detta e, probabilmente, non sarà mai svelata. Domani cade il settantatreesimo anniversario di una vicenda che ha dato una svolta non solo alla Sicilia: un anniversario scomodo che viene ignorato sistematicamente da chi ha governato e governa il Paese, ricordato soltanto da sparuti gruppi Sicilianisti.
Nonostante siano trascorsi 70 anni, circostanze e dinamica di quell’oscuro episodio non sono mai state chiarite, e nonostante che, da più parti, alle competenti autorità sia stata chiesta di fare chiarezza. I pochi documenti che accaniti ricercatori sono riusciti a reperire sono lacunosi e presentano palesi contraddizioni, tali da fare dubitare sulla loro veridicità. A suo tempo, neanche i familiari sono riusciti a mettere un punto fermo su un “evento” che (volente o nolente) segnò una svolta nella storia della Sicilia.
Così ha scritto Marco Di Salvo nella prefazione del libro “L’uccisione di Antonio Canepa” di Salvo Barbagallo:
Un paese che bagna i suoi passaggi epocali con il sangue e il mistero. Questa è l’Italia. Da Bronte ai briganti, da Canepa a Capaci e via D’Amelio è tutto un fiorire di momenti in cui, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, il dissenso e le figure scomode sono stati soffocati nel sangue e senza che venissero perseguiti a dovere i responsabili di crimini efferati. E la domanda che viene da farsi, forse inutilmente, è: quando è incominciata la stagione delle stragi dell’Italia repubblicana? Quando la stessa ancora non lo era ancora, Repubblica, e usciva, a pezzi, da una guerra disastrosa.
Antonio Canepa, creatore e comandante dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, la sua scomparsa avvenne in circostanze mai chiarite in quel di Randazzo il 17 giugno del 1945: delitto di Stato? Già, di uno Stato “nuovo” che ancora non era nato, e che però sapeva di non potersi permettere di perdere una risorsa strategica del suo territorio, la Sicilia. E a cui in molti, dall’estero, guardavano con occhi tutt’affatto disinteressati, nella prospettiva di rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo.
Antonio Canepa cadde, insieme a due militanti dell’esercito indipendentista, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, “ufficialmente” colpito a morte dai proiettili esplosi dai fucili di una pattuglia di tre carabinieri.
La verità su quanto si verificò a Randazzo è stata occultata sotto una montagne di menzogne.
Il conflitto bellico si era appena concluso a livello nazionale,ma in Sicilia la “pace” era scoppiata subito dopo l’occupazione dell’Isola, governata da americani e inglesi mentre l’Italia rimaneva occupata dai nazifascisti e le sorti della guerra erano incerte.
Il momento propizio per far rinascere nel cuore dei siciliani l’aspirazione all’indipendenza e soddisfare così anche le esigenze di una popolazione che voleva dimenticare le violenze subite. E a molti quest’idea apparve la formula migliore visto che nel corso di pochi mesi migliaia, centinaia di migliaia (per l’esattezza in cinquecentomila) aderirono al MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), non ascoltando la voce di socialisti, democristiani e comunisti. Era una “pace” che non cambiava l’ordine delle cose, quella che i Siciliani vivevano: fuori i fascisti, sostituiti da un governo di occupazione presieduto da americani e inglesi e, soprattutto, con la prospettiva di andare sotto a un governo provvisorio italiano che, come altri prima di lui, invece di ascoltare le istanze della popolazione, si presentò con manovre repressive, sedando nel sangue le rivolte provocate dalla fame.
Antonio Canepa – definito decenni dopo la sua morte il “professore guerrigliero” – predicava da anni l’indipendenza della Sicilia, da quando era passato al servizio di Sua Maestà Britannica per combattere nazisti e fascisti, e la sua attività nella Resistenza siciliana dette risultati apprezzabili. E Canepa stava al servizio di sua Maestà, ha affermato un testimone, perché in cambio delle sue prestazioni di sabotatore, a guerra conclusa, la Gran Bretagna avrebbe favorito l’indipendenza dell’Isola. I patti (veri o presunti), è notorio che quasi mai vengono rispettati: e a quel punto la via della guerriglia, per Canepa, era l’unica che potesse essere seguita. Nacque l’EVIS, alimentato da giovani idealisti (ma anche infiltrati, come nelle migliori tradizioni).
E a quel punto qualcuno (o molti nei piani alti dove si decidono le cose oscure del nostro Paese) si pose il problema di come estirpare la pianta prima che diventasse albero dalle profonde radici.
Chi è stato a decretare la fine di Antonio Canepa?
Di certo la dinamica del conflitto non è stata quella descritta dai protagonisti.
Canepa come protagonista principale della prima strage di Stato repubblicana? Meglio. Una prova generale di quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato il capolavoro che portò alla fine di tutte le velleità indipendentistiche siciliane: la fine di Salvatore Giuliano, eseguita con una metodologia che conferma uno stile che, ciclicamente, si è ripresentato nel tempo, sino ai giorni nostri. Una strategia che i servizi segreti (noti e ignoti) in molti casi hanno applicato. Nella vita del nostro Paese, afferma Salvo Barbagallo, non ci sono misteri, ma (semplicemente, ma amaramente) verità che vengono nascoste.
Foto in primo piano: La tomba di Canepa a Giarre